Un paradiso fiscale è uno Stato che garantisce un prelievo in termini di tasse basso o addirittura nullo. La ragione di una scelta del genere è più che altro politica: attirare molto capitale proveniente dai paesi esteri, fornendo in cambio una tassazione estremamente ridotta. Dal punto di vista del contribuente, per riportarci all'originaria definizione statunitense di paradiso fiscale, tax haven, è un rifugio dall'alta tassazione sui redditi.
Tipicamente, nei paradisi fiscali si riscontra un regime di imposizione fiscale molto basso o assente che rende conveniente stabilire in questi Paesi la sede di un'impresa (come ad esempio le società offshore), oppure regole particolarmente rigide sul segreto bancario, che consentono di compiere transazioni coperte. Giova, altresì, ricordare che le regole societarie consentono l'emissione di azioni al portatore, un insieme ridottissimo di formalità societarie e contabili e regole favorevoli per l'impiantazione di servizi finanziari (come per esempio regole minime per ottenere licenze che consentano di operare fondi di investimento).
Se vogliamo fare una classificazione dei paradisi fiscali, possiamo distinguere le seguenti categorie:
1.Pure Tax Haven: non impone tasse oppure solo una o più di valore nominale e garantisce l'assoluto segreto bancario, non scambiando informazioni con altri stati;
2.No Taxation on Foreign Income: è tassato solo il reddito prodotto internamente;
3.Low Taxation: modesta tassazione fiscale sul reddito ovunque generato;
4.Special Taxation: Paesi dal regime fiscale impositivo paragonabile a quello dei Paesi considerati a tassazione normale, ma che permettono la costituzione di società particolarmente flessibili.
L'elenco dei paradisi fiscali, o Paesi con regime fiscale privilegiato, è lungo.
In particolari condizioni, possono creare quello che la OCSE, nel rapporto "Harmful Tax Competition: An Emerging Global Issue", definisce concorrenza fiscale dannosa. Secondo lo schema indicato dall'OCSE, questi sono i punti chiave che permettono di individuare un regime fiscale dannoso:
imposizione fiscale bassa o prossima allo zero;
sistema "ring fenced", cioè tassazione con ampia disparità tra i redditi generati all'interno o all'esterno;
assenza di trasparenza delle transazioni effettuate;
mancanza di scambio d'informazioni con altri paesi;
elevata capacità di attrarre società aventi come unico scopo quello di occultare movimenti di capitale.
È chiaro che il paradiso fiscale fa gola sia alle aziende multinazionali e di più modeste dimensioni con lo scopo di pagare il minor numero d'imposte, sia a organizzazioni criminali.
Gli Stati si trovano di fronte al costante dilemma della repressione dei paradisi fiscali. Come è facilmente intuibile, le cifre in gioco sono enormi. La loro totale eliminazione porterebbe non soltanto un danno alle organizzazioni criminali, scopo che è sicuramente da perseguire con ogni mezzo, ma anche alle imprese che svolgono attività formalmente legali. Numerose imprese dovrebbero pagare più tasse e la minore disponibilità di capitali sicuramente inciderebbe sullo sviluppo economico dell'impresa stessa. Ma al minor sviluppo economico delle imprese corrisponderebbe una maggior quantità di denaro a disposizione degli stati. La questione, per concludere, è a livello geopolitico ed è quella di trovare una maggiore regolamentazione ed un'armonizzazione del sistema impositivo, che permetta una svolta nella concorrenza fiscale tra imprese.
Nel giugno 2010, l'OCSE, in base al suo Rapporto, ha individuato 14 giurisdizioni inserite nella cosiddetta lista grigia dell'Ocse sotto la voce tax haven e centri finanziari. Vi figurano:
Belize,
Brunei,
Isole Cook (Nuova Zelanda),
Costa Rica,
Filippine,
Guatemala,
Liberia,
Isole Marshall,
Montserrat (Regno Unito),
Nauru,
Niue (Nuova Zelanda),
Panamá,
Uruguay,
Vanuatu,
Isole Cayman (Regno Unito).
Tipicamente, nei paradisi fiscali si riscontra un regime di imposizione fiscale molto basso o assente che rende conveniente stabilire in questi Paesi la sede di un'impresa (come ad esempio le società offshore), oppure regole particolarmente rigide sul segreto bancario, che consentono di compiere transazioni coperte. Giova, altresì, ricordare che le regole societarie consentono l'emissione di azioni al portatore, un insieme ridottissimo di formalità societarie e contabili e regole favorevoli per l'impiantazione di servizi finanziari (come per esempio regole minime per ottenere licenze che consentano di operare fondi di investimento).
Se vogliamo fare una classificazione dei paradisi fiscali, possiamo distinguere le seguenti categorie:
1.Pure Tax Haven: non impone tasse oppure solo una o più di valore nominale e garantisce l'assoluto segreto bancario, non scambiando informazioni con altri stati;
2.No Taxation on Foreign Income: è tassato solo il reddito prodotto internamente;
3.Low Taxation: modesta tassazione fiscale sul reddito ovunque generato;
4.Special Taxation: Paesi dal regime fiscale impositivo paragonabile a quello dei Paesi considerati a tassazione normale, ma che permettono la costituzione di società particolarmente flessibili.
L'elenco dei paradisi fiscali, o Paesi con regime fiscale privilegiato, è lungo.
In particolari condizioni, possono creare quello che la OCSE, nel rapporto "Harmful Tax Competition: An Emerging Global Issue", definisce concorrenza fiscale dannosa. Secondo lo schema indicato dall'OCSE, questi sono i punti chiave che permettono di individuare un regime fiscale dannoso:
imposizione fiscale bassa o prossima allo zero;
sistema "ring fenced", cioè tassazione con ampia disparità tra i redditi generati all'interno o all'esterno;
assenza di trasparenza delle transazioni effettuate;
mancanza di scambio d'informazioni con altri paesi;
elevata capacità di attrarre società aventi come unico scopo quello di occultare movimenti di capitale.
È chiaro che il paradiso fiscale fa gola sia alle aziende multinazionali e di più modeste dimensioni con lo scopo di pagare il minor numero d'imposte, sia a organizzazioni criminali.
Gli Stati si trovano di fronte al costante dilemma della repressione dei paradisi fiscali. Come è facilmente intuibile, le cifre in gioco sono enormi. La loro totale eliminazione porterebbe non soltanto un danno alle organizzazioni criminali, scopo che è sicuramente da perseguire con ogni mezzo, ma anche alle imprese che svolgono attività formalmente legali. Numerose imprese dovrebbero pagare più tasse e la minore disponibilità di capitali sicuramente inciderebbe sullo sviluppo economico dell'impresa stessa. Ma al minor sviluppo economico delle imprese corrisponderebbe una maggior quantità di denaro a disposizione degli stati. La questione, per concludere, è a livello geopolitico ed è quella di trovare una maggiore regolamentazione ed un'armonizzazione del sistema impositivo, che permetta una svolta nella concorrenza fiscale tra imprese.
Nel giugno 2010, l'OCSE, in base al suo Rapporto, ha individuato 14 giurisdizioni inserite nella cosiddetta lista grigia dell'Ocse sotto la voce tax haven e centri finanziari. Vi figurano:
Belize,
Brunei,
Isole Cook (Nuova Zelanda),
Costa Rica,
Filippine,
Guatemala,
Liberia,
Isole Marshall,
Montserrat (Regno Unito),
Nauru,
Niue (Nuova Zelanda),
Panamá,
Uruguay,
Vanuatu,
Isole Cayman (Regno Unito).
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